La nascita di uno stato Ebraico

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La genesi dell’idea di “nazione ebraica” nel senso politico e moderno dell’idea stessa di nazione si definisce tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – a fronte della persistenza di discriminazioni, persecuzioni, uccisioni – come forma di autoemancipazione e di affermazione identitaria in forma analoga a quella sviluppata nella cultura politica occidentale. Il sionismo è divenuto pertanto la forma ideologica specifica data dagli ebrei alla propria azione e alla propria organizzazione sociopolitica con il fine di promuovere la nascita di uno stato ebraico. Il sionismo ha da subito tentato di collegare la tradizione con la modernità.

La parola “sionista” definisce una categoria storica e indica un contenuto politico-culturale di enorme spessore nel connotare in forma nuova l’ebraismo nel ventesimo e ventunesimo secolo. La fisionomia di questo fenomeno, che si colloca all’interno della famiglia dei nazionalismi politici ottocenteschi, è quella di un’esperienza politica che ha prefigurato prima e forgiato poi una nuova identità. Dopo l’elaborazione dei decenni precedenti, questa si realizza poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, non con l’atto di nascita formale (nel 1948) o con la risoluzione deliberata dalle Nazioni Unite (nel 1947), ma con le decisioni assunte sulla fisionomia dello Stato ebraico (nel 1942).

La ricostruzione della storia del sionismo evidenzia il peso della relazione – da ridefinire, dopo secoli dalla scomparsa dell’antico stato ebraico – tra fede religiosa e sfera pubblica. La questione richiama la relazione tra sistema di valori, forma delle istituzioni, dell’organizzazione del lavoro e del sistema sociale complessivo. Lo scontro su quale debba essere la lingua nazionale si accompagna, per questo, alle discussioni su quale modello economico e societario vada assunto, su come promuovere l’insediamento nel territorio e la distribuzione delle popolazioni, sul sistema urbano e sui servizi, su quali legami definire con le popolazioni locali già presenti, sulla forma democratica della rappresentanza, sui diritti della cittadinanza. In questo quadro si colloca la dinamica educativa, legata alla costruzione dell’”ebreo nuovo” e, in particolare, sui legami tra questo e le proprie società di provenienza.

La storia del sionismo prima della nascita di Israele è la storia complessa di come si ricostruisce un’identità culturale, fondata sul ritorno in un territorio percepito come luogo originario e non più come esperienza remota, in un rapporto con la storia.

Con l’abbandono dei ghetti nel corso del XIX secolo gli ebrei erano usciti da una dimensione di memoria che costituiva la propria identità e cominciavano a pensarsi nella storia, a misurarsi con le vicende del proprio tempo, e anche mettersi in gioco. Gli ebrei fuori dai ghetti erano infatti divenuti attori della storia come gli altri. Il sionismo aveva anche stretti legami con l’idea di tradizione. Il sionismo è il risultato di un lungo confronto sia con l’esterno sia con l’interno delle comunità ebraiche, spesso molto diverse tra loro. Con esso si definisce un’identità che scaturisce da scelte, decisioni, azioni non necessariamente coerenti e uniformi e che determina, nel tempo, due configurazioni dell’ebraismo, la prima legata al recupero di un’identità nazionale, nell’ambito di Israele, la seconda di ridefinizione identitaria nella permanenza in altri paesi, dei quali si condivide la cittadinanza e la cultura.

Il caso della lingua costituì un aspetto di straordinario interesse sull’evoluzione recente della cultura ebraica moderna. Eliezer Ben Yehuda (1858 –1922), il redattore di un monumentale dizionario ebraico, intuì che solo attraverso l’uso di una lingua comune era possibile ricostruire il sistema di relazioni con cui i singoli possono fare propri i caratteri essenziali dell’ebraismo stesso. Partendo dall’ebraico antico ne rinnovò la sintassi, forgiò nuove parole, elaborò una grammatica, nell’assoluta convinzione che la rinascita della nazione ebraica passasse attraverso un’unica lingua, parlata e scritta. La lingua ebraica, rinata, nel ventesimo secolo, come lingua d’uso, grazie a questo essenziale contributo, costituì lo strumento fondamentale per lo sviluppo e la crescita culturale di Israele, ma, nel contempo, assunse il carattere di elemento unificante degli ebrei al di là della dimensione di fede e di specifica esperienza. La lingua diventò così uno degli elementi connotativi dell’ebraismo mondiale, un fattore decisivo dell’unità del popolo ebraico. Le produzioni letterarie e cinematografiche sono solo alcuni esempi di come potesse incidere lo strumento linguistico. Ma non fu l’unico elemento determinante dell’appartenenza: anche il lavoro fu individuato come ulteriore fattore identitario, condizionando varie attività e decisioni della vita. Il lavoro per gli ebrei, prima dei processi che hanno determinato la loro equiparazione agli altri cittadini, era, in molte realtà sociali e per diversi secoli, limitato ad attività specifiche. Al di là di insensate illazioni sul “particolare” rapporto degli ebrei con il denaro – la cui gestione, attraverso il commercio o il prestito, è stata una delle attività consentite, rispetto a molte altre negate – è evidente l’assenza, per diverso tempo, di una componente ebraica in alcune aree della stratificazione sociale. Non a caso, con la nascita di Israele si afferma l’idea di un luogo in cui l’ebreo possa e debba essere in ogni mestiere, professione e classe.

Le forme dell’arte hanno evidenziato la progressiva recente differenziazione tra Israele, dove la costruzione dello Stato pone l’esigenza di fissare la natura sia della “religione civile” sia la natura stessa di un popolo che ha recuperato una sua sovranità, e la diaspora, dove l’elemento religioso è rimasto fondante con una significativa incidenza del trauma subito con la Shoah. Per l’ebraismo della diaspora, fatto salvo il legame ineludibile con Israele, si registra un’elaborazione, tuttora in corso, sulle forme di presenza delle comunità di minoranza in una società più ampia. Ma il problema, oggi, in Europa, non è solo degli ebrei.

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