Venti anni tra accordi, nuovi conflitti e terrorismo (1977-1996)

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Nel maggio 1977, i laburisti, al potere dal 1948, persero le elezioni contro il partito di destra, il Likud (che in ebraico significa “consolidamento”) di Menachem Begin, erede della tradizione e dell’ideologia di destra, ascrivibile al movimento chiamato Irgun. In quell’anno iniziò anche l’amministrazione americana del democratico Jimmy Carter. Tutto ciò portò novità significative.

Il presidente egiziano Sadat decise, nel novembre 1977, di compiere un gesto dalla portata politicamente rivoluzionaria. […] Decise di recarsi a Gerusalemme per discutere direttamente con il primo ministro israeliano la possibilità di un accordo di pace e per parlare alla Knesset, il parlamento israeliano, della propria volontà di pace. La pace avrebbe dato all’Egitto quella sicurezza di cui esso aveva bisogno per affrontare i problemi della crescita economica. […] Una pace fatta sotto l’egida degli Stati Uniti avrebbe poi assicurato all’Egitto anche preziosi aiuti economici americani, dato che gli Stati Uniti avrebbero visto in modo certamente positivo la nascita, attorno a Suez, di un’area pacificata sotto la loro egemonia. Begin aveva buone ragioni per non respingere l’iniziativa egiziana. Circondato da nemici, Israele doveva alleggerire la pressione ininterrottamente condizionava la sua esistenza e che metteva in pericolo la sua sicurezza, specialmente sul fronte del Sinai. Per questo, Begin era aperto a un negoziato che prevedesse un trattato di pace in cambio della restituzione dei territori occupati nel 1967, meno la Striscia di Gaza, mai appartenuta all’Egitto […]. Il momento culminante del negoziato aperto dal viaggio di Sadat, al quale tenne dietro una visita di Begin al Cairo, fu rappresentato dai negoziati diretti che Sadat e Begin svolsero nel settembre 1978 a Camp David, una delle residenze estive del presidente americano, con la diretta e attiva mediazione dello stesso Carter, e che faticosamente portarono, dopo una discussione durata dal 5 al 17 settembre, a un accordo che sanciva per la prima volta un assetto pacifico fra Israele e uno Stato arabo. Per quanto riguardava i rapporti fra Egitto e Israele, il trattato (firmato poi a Washington nel marzo 1979) ricalcava le linee già tracciate all’inizio dei negoziati. […] La questione dello status di Gerusalemme, quella della Cisgiordania e quella dell’indipendenza palestinese erano solo sfiorate. Begin si impegnava soltanto a intraprendere negoziati con i palestinesi per la concessione di uno statuto di autonomia all’interno dello Stato israeliano (rifiutando però di riconoscere l’OLP come rappresentanza dei palestinesi)[21].

Da sx Sadat, Carter, Begin

Da sx Sadat, Carter, Begin

Attuando un principio più volte proposto da parte israeliana (terra in cambio di pace), le parti si accordarono per il ritorno del Sinai all’Egitto, il quale si impegnò a rispettare la sicurezza del vicino Stato ebraico. Il nemico più potente d’Israele era così stato neutralizzato, ma conflitti e tensioni erano tutt’altro che conclusi. Gli altri Paesi arabi (Giordania, Arabia Saudita, Siria) condannarono l’accordo. I palestinesi ne furono delusi, individuando l’ennesimo tradimento da parte del loro alleato più potente: per Cisgiordania e Gaza, infatti, si parlava solo di “autonomia personale”. Anche in Egitto le scelte di Sadat non furono accettate all’unanimità: il 6 ottobre 1981 fu assassinato, ma il trattato di pace sopravvisse anche con il suo successore, Hosni Moubarak, ed è tuttora in vigore.

Gli anni ’80 portarono poi una serie di novità a livello internazionale destinate a ripercuotersi anche sulla situazione mediorientale. La Rivoluzione iraniana (gennaio ’79) e il sequestro per 444 giorni degli ostaggi americani nell’Ambasciata di Teheran; la presidenza Reagan (1980-1988); l’ultima fase della Guerra fredda. In Medio Oriente, questo decennio e quello successivo portarono una lunga serie di tentativi di pacificazione alternati a nuove ostilità: la guerra del Libano nel 1982; la prima Intifada nel 1987; il processo di pace di Oslo nel 1993 durante il quale fu scattata la famosa fotografia con la stretta di mano tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin di fronte all’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Fino alla seconda Intifada, iniziata nel 2000.

Il primo elemento qui rilevante fu l’invasione israeliana del Libano, dove si era verificata una crescente instabilità politica e un incremento della forza dell’OLP. Il 6 giugno 1982 iniziò l’operazione “Pace in Galilea”, con lo scopo di creare una zona di sicurezza di 40 km nel Libano del sud, ma le truppe israeliane si spinsero fin quasi a Beirut (sede del comando dell’OLP). Gli scontri e i bombardamenti si conclusero solo con le pressioni di Reagan: il 12 agosto fu così dichiarato il cessate il fuoco. Non fu però la fine dello spargimento di sangue in terra libanese: il mancato accordo sul piano di pace portò, il 15 settembre, l’esercito israeliano a occupare Beirut ovest; parallelamente, a seguito dell’uccisione del presidente della Repubblica libanese Bashir Gemayel, i falangisti libanesi, alla ricerca di terroristi, fecero irruzione nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila (controllati dall’esercito israeliano), uccidendo un numero indefinito di persone (si va dai 450 a 3500 a seconda delle fonti). Questa strage costò molto a Israele in termini di immagine a livello internazionale. Furono però questi gli ultimi episodi della campagna israeliana in Libano, sebbene il ritiro definitivo dell’esercito avvenne solo nel 1985. Molti militanti palestinesi abbandonarono il Libano per la Siria, la Tunisia, lo Yemen, ma avevano dimostrato di saper opporre una strenua resistenza. Nel 1982 l’OLP stabilì la sua sede a Tunisi.

Queste vicende avevano contribuito ad acuire il senso di frustrazione dei palestinesi, i quali ormai facevano sempre meno affidamento sui loro vicini arabi. Quarant’anni erano passati dalla risoluzione dell’ONU, venti dalla Guerra dei Sei giorni, e i miglioramenti politici per i palestinesi erano stati assai modesti. La società era mutata e c’era stato un ricambio generazionale. In questo clima ebbe origine l’Intifada, scoppiata l’8 dicembre 1987.

Fu scatenata da un incidente nella Striscia di Gaza in cui un veicolo dell’esercito israeliano si scontrò con un camion pieno di operai palestinesi, causando quattro morti. Si diffuse la voce che si era trattato di una rappresaglia per la morte di un israeliano, pugnalato a Gaza due giorni prima. […] Nei giorni successivi l’agitazione si diffuse prima in tutta la Striscia di Gaza e poi in Cisgiordania: divenne presto chiaro che ciò che stava succedendo superava di gran lunga ogni precedente forma di protesta nei territori occupati […] Le immagini delle forze di sicurezza che usavano i proiettili contro i dimostranti armati di pietre danneggiarono la reputazione del paesi, che si stava appena riprendendo dagli eventi di Sabra e Shatila […] Gli israeliani non furono gli unici a essere sorpresi dalla natura e dalla diffusione dell’Intifada, poiché anche l’Olp dovette definire la sua risposta politica, soprattutto a causa della crescita di un rivale potenziale, Hamas, il Movimento di resistenza islamica, […] coloro che si stavano affermando come i leader della rivolta[22].

Il 15 novembre 1988 l’OLP si autoproclamò Stato di Palestina, pur non affermando il proprio controllo in modo stabile ed effettivo su di alcuna comunità territoriale. Nella stessa dichiarazione era rilevato che il nuovo Stato era privo di un territorio sul quale esercitare la propria potestà.

Nel 1992, le vittorie elettorali dei laburisti di Yitzhak Rabin in Israele e del democratico Bill Clinton negli Stati Uniti modificarono nuovamente la situazione. La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 implicò la scomparsa del principale sovvenzionatore della Siria, tra i più acerrimi nemici di Israele. Si stavano creando i presupposti per un nuovo dialogo.

Già da tempo, in segreto, erano in corso colloqui informali tra membri dell’Organizzazione di Arafat e rappresentanti d’Israele. Durante questi scambi di vedute si ebbe modo di mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali: il problema dell’autogoverno palestinese in Cisgiordania e a Gaza, il futuro dei profughi del 1948 e delle loro famiglie, la questione della sicurezza, la giurisdizione su Gerusalemme e il nodo del reciproco riconoscimento[23].

Si procedette quindi a uno scambio di lettere tra Arafat e Rabin, nelle quali si ponevano le premesse per un mutuo riconoscimento. Mentre il primo impegnava l’Olp a garantire «il diritto dello Stato di Israele a esistere nella pace e nella sicurezza» e la volontà di «rinunciare al ricorso al terrorismo e agli altri atti di violenza», il secondo assicurava che «il governo d’Israele aveva deciso di riconoscere l’Olp come il rappresentante del popolo palestinese». Il leader palestinese chiese inoltre alla popolazione dei Territori di desistere dagli atti di violenza, fatto che segnò la conclusione dell’intifada, che già da due anni si era andata mitigando. Dopo di che […] il 13 settembre 1993 a Washington venne ufficialmente firmato l’accordo che era stato negoziato il mese precendete ad Oslo. La «Dichiarazione dei principi riguardanti progetti di autogoverno ad interim» demandava ad alcuni significativi impegni, vincolanti per entrambe le parti. Israele si impegnava a ritirare le forze armate da ampi settori della Striscia di Gaza e da alcune parti della Cisgiordania. Non di meno riconosceva il diritto della popolazione locale all’autogoverno in tali aree attraverso l’istituzione di una Autorità nazionale palestinese[24].

13 settembre 1993: Rabin, Cliton, Arafat

13 settembre 1993: Rabin, Cliton, Arafat

Con questi Accordi di pace, dunque, fu costituita un’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), dotata di proprie istituzioni e di una serie di poteri sovrani sui territori della Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza, la cui intensità variava a seconda delle zone di interesse (zona A, zona B e zona C). Questa Autorità era intesa come “embrione” del futuro stato Palestinese indipendente a cui Israele avrebbe progressivamente ceduto l’autorità dei territori occupati.

Nell’accordo non erano volutamente contemplate questioni problematiche come la sovranità su Gerusalemme, il destino dei profughi, il futuro degli insediamenti ebraici[25].

Rimanevano problemi aperti dunque. Arafat, inoltre, doveva fare i conti con la fine del sogno di fare un unico stato palestinese e accettare la negoziazione; la divisione tra le diverse fazioni era accentuata dalla competizione con l’estremismo di Hamas, il gruppo terrorista arroccato su posizioni intransigenti. Proprio Hamas fece partire una feroce campagna di attentati contro i civili israeliani per smentire Rabin sul punto della sicurezza; anche l’esecutivo israeliano doveva fare i conti con il dissenso delle altre parti politiche e di alcune componenti della società civile.

Nonostante il clima di montante tensione, che registrava violenze da più parti, Rabin e Arafat scelsero di proseguire nella trattativa, consapevoli di avere imboccato una via senza ritorno. Il 4 maggio 1994 al Cairo si arrivò ad una nuova tappa, l’accordo sull’autonomia di Gaza e Gerico, definendo, pur tra molte difficoltà, la dimensione del ritiro israeliano e le attribuzioni dell’Autorità nazionale palestinese. A luglio Yasser Arafat tornava a Ramallah, in Cisgiordania, scelta come la sede del nuovo governo palestinese, dopo decenni di esilio. Il 26 ottobre, infine, Israele e Giordania firmavano il trattato di pace, che poneva fine a quasi cinquant’anni di tensioni. Per Gerusalemme dignificava la sicurezza del confine orientale, che andava ad aggiungersi a quella giù ottenuta, con l’accordo del 1979 con l’Egitto, alla frontiera meridionale[26].

Le crescenti tensioni dovute al terrorismo palestinese e alle aspre dispute politiche esacerbarono il clima fino alla data del 4 novembre 1995, quando, a conclusione di una grande manifestazione a Tel Aviv, il Primo Ministro Yitzhak Rabin fu ucciso da un militante dell’estrema destra israeliana.

Shalom Rabin Durata 02:47 Sorgente di vita del 01/11/2015.

Il suo successore fu Shimon Peres, anch’egli tra i Padri Fondatori della Nazione e con un illustre passato nel mondo militare e politico; Peres era destinato a scrivere importanti pagine della storia israeliana anche negli anni a venire (fu poi Presidente dal 2007 al 2014).

L’ultimo pioniere (scheda Peres) Durata 4.48 – Sorgente di vita del 02/10/2016

[21] Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Laterza, Bari, 2003, p. 1232-1235.
[22] Thomas G. Fraser, Il conflitto arabo-israeliano, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 143.
[23] Claudio Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, Bari, 2010, p. 191.
[24] Claudio Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, Bari, 2010, p. 192.
[25] Claudio Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, Bari, 2010, p. 193.
[26] Claudio Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, Bari, 2010, p. 194.

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