Correnti nell’ebraismo

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Come approfondito nell’unità sulla Diaspora[6] gli ebrei – a seguito di diverse migrazioni – si sono stanziati in ogni continente: si sono verificati scambi e influenze reciproche con la le popolazioni locali che hanno determinato alcune differenze all’interno del popolo ebraico stesso.
Una prima macro distinzione, piuttosto nota, è quella tra ebrei sefarditi ed ebrei ashkenaziti. Ciascun gruppo è depositario di un bagaglio culturale specifico, influenzato da usi e tradizioni dei rispettivi luoghi di permanenza e residenza.
I primi sono tradizionalmente individuati come gli ebrei provenienti dalla Spagna (Sefarad, in ebraico), e che, con l’espulsione del 1492 per mano dei re di Spagna Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia, si stabilirono in tutto il bacino del Mediterraneo, tra cui molti paesi arabi, ma anche nei Paesi Bassi e nell’area balcanica[7]. La lingua condivisa da questo gruppo, oggi in via di sparizione, è il ladino (o giudeo-spagnolo), che al castigliano aggiunge espressioni in ebraico.
I secondi invece sono tradizionalmente individuati come gli ebrei dell’Europa continentale (dal centro fino alla Russia), Ashkenaz, nel testo biblico, indica infatti un territorio corrispondente all’attuale Germania. Gli ebrei ashkenaziti sono depositari di una cultura e di una lingua, lo yiddish, che mescola elementi ebraici con altri tedeschi e slavi. Nata negli shtetl – paesi e villaggi che contavano una massiccia presenza ebraica che sono stati rasi al suolo dai nazisti – questa lingua sopravvive oggi in Israele e negli Stati Uniti, ma di fatto sta lentamente scomparendo[8].
I due gruppi, oltre che per provenienza e lingua, differiscono per liturgia, usi e tradizioni, e naturalmente anche per le loro cucine che hanno ricette diversissime per materie prime e condimenti. Si pensi per esempio al gefilte fish – una polpetta di carpa dal sapore dolce ricoperta di gelatina – piatto simbolo del mondo ashkenazita, sconosciuto al mondo sefardita dove predominano invece ceci, fagioli, cous cous, carne di agnello e di montone.
Naturalmente, la diversificazione tra i due gruppi è complessa e occorre comunque sempre considerare che in molti luoghi i gruppi sono convissuti e si sono integrati.
L’Italia, a questo proposito, rappresenta un caso del tutto peculiare, che sfugge a questa distinzione. Gli ebrei italiani sono infatti riconducibili a una comunità autoctona con propri riti, tradizioni e dialetti, e su cui a più riprese, nel corso dei secoli, sono successivamente confluiti gruppi e influenze sia sefarditi (esiste per esempio tuttora a Roma un Tempio Spagnolo), sia ashkenaziti, la cui influenza si avverte particolarmente nella Comunità ebraica di Trieste, e, marginalmente, in altre comunità del Nord Italia.

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Molteplicità e diversità di vedute sono sempre state tipiche della tradizione ebraica che, data l’assenza di dogmatismo e di una autorità religiosa centrale e riconosciuta, ha da sempre ammesso l’importanza del pluralismo e invitato alla discussione.
La dialettica è insita nel pensiero e nello studio ebraico, dove anzi il confronto e la diversità di vedute sono incoraggiati per stimolare approfondimenti e scambi.
Questo ha portato con il passare del tempo e con il contatto di altre culture – oltre che alla formazione di diverse tradizioni – anche alla nascita di correnti religiose diverse da quella definita ortodossa.
In Italia, l’ebraismo cosiddetto ortodosso è ancora quello maggiormente diffuso: le regole devono essere osservate secondo i dettami tradizionali.
La narrazione delle feste presentata nel percorso dedicato al calendario ebraico[9] si rifà agli usi e alle tradizioni della maggioranza ortodossa degli ebrei italiani.
Tuttavia, è bene dare conto di altre correnti che, nel corso degli ultimi due secoli, hanno trovato genesi e diffusione nel Vecchio e nel Nuovo continente.
Il fenomeno è piuttosto complesso, ma in linea generale il modello ortodosso, ossia quello più tradizionale, è incentrato sulla regola e sulla continuità del suo rispetto (non si dimentichi che all’interno dello stesso mondo ortodosso si distinguono ulteriori correnti come per esempio i cosiddetti Modern Orthodox, che puntano in modo positivo a conciliare la Halachà – l’insieme di norme della tradizione ebraica – con il mondo circostante e specie con la cultura non ebraica e la scienza).
La Torah e il Talmud rivestono un ruolo centrale fornendo le regole per ogni aspetto della vita, familiare, sociale, lavorativa e politica. Questo significa rifiutare l’assimilazione culturale con il mondo circostante e confrontarsi con esso sulla base del rispetto dei dettami dell’insegnamento ebraico.
Così il rabbino Elio Toaff rispondeva alle domande di Alain Elkann a proposito degli ebrei italiani, che dal rabbino venivano considerati tutti ortodossi:

(…) in cosa consiste l’ortodossia di questi ebrei? Nel fatto che non rinnegano niente di quanto è tramandato nella Torà e, anche se non lo eseguono, sarebbero felici di farlo[10].

Tale modello entrò in crisi nel XIX secolo con il periodo dell’emancipazione e con l’acquisizione dei diritti civili, quando sempre maggiori divennero le occasioni e le esigenze di confronto con il mondo esterno. Si era perduta infatti quella sorta di semi autonomia amministrativa e giuridica che fino ad allora aveva guidato la vita ebraica nella dimensione personale, commerciale ed economica. Si apriva un’epoca in cui ogni ebreo, oltre a volersi mantenere ossequioso della normativa della sua fede, intendeva rispettare diritti e doveri derivatigli dallo status di cittadino.
L’appartenenza all’ebraismo veniva quindi in qualche modo “relegata” alla dimensione e all’esperienza personale e si era spianata la strada al sorgere di nuove correnti all’interno dell’ebraismo, con visioni che differivano da quella fino a quel momento diffusa e condivisa.

Lo sforzo dei tradizionalisti consisterà nella ricerca di una via che permetta alla comunità di continuare a conformarsi ai principi della fede tradizionale, consentendo un minimo di adattamento alla nuova realtà sociale e culturale[11].

Moses Mendelssohn (1729/1786) fu tra i principali fautori della necessità di un adeguamento della normativa ebraica ai mutati tempi storici e, con tale sua visione, influenzò una riforma in seno all’ebraismo che privilegiava gli aspetti personali religiosi incoraggiando l’integrazione degli ebrei e l’interazione con la cultura della società in cui risiedevano. Nel rispetto e nell’osservanza delle leggi religiose, sostenne l’importanza della partecipazione ai processi civili e sociali.
La sua spinta fu dirompente e Mendelssohn fu considerato tra i padri del movimento detto appunto riformato.
Se l’ebraismo ortodosso si basa sull’identità religiosa, quello riformato affonda le sue radici in quella storico-culturale.
Oggi, l’Unione mondiale per l’ebraismo progressista (WUPJ), fondata a Londra nel 1926, è l’organizzazione internazionale ombrello dei movimenti riformati, liberali, progressisti e ricostruzionisti[12].

Il Movimento di Riforma ha in qualche modo voluto abbracciare la modernità, incorporando l’innovazione in tutti gli aspetti della tradizione, dell’educazione e della vita ebraica.
Pur rimanendo fermi gli insegnamenti e i valori ebraici, la visione dei riformati è più blanda per quel che concerne il rispetto di certe mitzvòth (precetti), l’osservanza delle quali viene lasciata alla libera valutazione del singolo. Per questo potrebbe capitare che in alcune congregazioni di questo tipo, soprattutto negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Israele, ci si imbatta in funzioni tenute da rabbini di sesso femminile o in cui uomini e donne siedono vicini in sinagoga.
A sua volta nato come reazione a questa Riforma, vi è poi la corrente cosiddetta Conservative, che garantisce una maggiore continuità con l’elemento tradizionale, ma a differenza dell’approccio ortodosso, consente una più ampia apertura sull’interpretazione e lo sviluppo della normativa halachica.
Senza entrare nella disamina delle realtà minori, possiamo in questa sede fare menzione della esistenza di altre correnti, che con le loro posizioni si trovano agli estremi: è il caso degli ultra-ortodossi e degli ultra-liberali.
Diversità e pluralismo sono quindi insiti nella storia e nella cultura ebraica; non per niente un diffuso, e spesso vero, detto ebraico recita: “due ebrei, tre opinioni”.

[6] Si vedano, per approfondimenti, l'”introduzione” e i paragrafi relativi alle varie epoche storiche.
[7] Si veda, all’interno dell’unità sulla Diaspora, il paragrafo “La cacciata dalla Spagna”.
[8] Si veda ancora, all’interno dell’unità sulla Diaspora, il paragrafo “Il mondo Yiddish”.
[9] Si veda l’unità sul calendario ebraico, paragrafo “Ricorrenze, celebrazioni, festività”.
[10] Alain Elkann con Elio Toaff, Carlo Maria Martini e El Hassan Bin Talal, Camminare insieme, Bompiani, Milano, 2015, p. 31.
[11] Eliezer Ben Rafael, Chi è ebreo? Cinquanta “Saggi” rispondono, Bonanni Editore, Acireale – Roma, 2014, p.28.
[12] Per sapere di più consulta i siti https://wupj.org/ e https://urj.org/

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