La dichiarazione “Nostra Aetate”

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Nel secondo dopoguerra, iniziò un processo di avvicinamento tra Chiesa ed ebrei fatto di alti e bassi, di avvicinamenti e di confronti. L’antigiudaismo teologico era vistosamente diminuito ma non del tutto superato; le vicende della guerra avevano in alcuni casi alimentato la diffidenza, in altri portato a una scoperta reciproca.

La necessità per la Chiesa di sbarazzarsi della vecchia teologia antigiudaica e di iniziare un’opera di insegnamento del rispetto che sostituisse quell’insegnamento del disprezzo di cui si erano viste le terribili conseguenze fu affermata già nel 1947 a Seelisberg, in Svizzera, in una conferenza internazionale sull’antisemitismo […]. La conferenza […] pubblicò un appello rivolto alle Chiese cristiane perché evitassero di formulare nell’insegnamento e nella predicazione qualsiasi ostilità nei confronti degli ebrei. Il principale ispiratore delle tesi di Seelisberg fu lo storico ebreo Jules Isaac, che aveva perduto ad Auschwitz tutta la sua famiglia[31].

Un giorno monsignor Bea mi confidò che, essendo tedesco di nascita, sentiva tutto il peso del male che il suo popolo aveva fatto agli ebrei e voleva fare qualche cosa per riparare, sia pure in minima parte. Gli nacque così l’idea di convocare un Concilio ecumenico nel quale si sarebbe dovuto approvare un documento sugli ebrei. […] Bea patrocinò e diresse […] una agape fraterna presso l’università internazionale di studi sociali Pro Deo a Roma, che ebbe per tema «I pregiudizi razziali motivo delle incomprensioni religiose, politiche, culturali». […] Era un linguaggio nuovo che suonava molto gradito alle orecchie degli ebrei, ed era anche un programma sul quale si poteva onestamente e attivamente collaborare[32].

Nel 1959, Giovanni XXIII cancellò, dopo secoli, dalla liturgia cattolica del venerdì santo il termine di “perfidi giudei”. Nello stesso anno, Jules Isaac, ebreo francese la cui famiglia era stata sterminata ad Auschwitz, chiese al Papa di condannare solennemente “l’insegnamento del disprezzo” verso gli ebrei. La strada del dialogo era ormai aperta, ma necessitava ancora di una piena svolta.

Questa svolta avvenne con il Concilio Vaticano II, uno dei momenti fondamentali della storia della Chiesa. Aperto da Giovanni XXIII nel 1962 e portato a termine da Paolo VI nel 1965, il Concilio Vaticano II avviò verso la riconciliazione i rapporti tra le due religioni.

Papa Giovanni XXIII: il Concilio Ecumenico Vaticano Il

Il Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II

Le prospettive di pace e di accordo nei rapporti tra cristiani ed ebrei, aperte dal pontificato di Giovanni XXIII, continuarono in quello del suo successore, Paolo VI, che nel gennaio del 1964, durante il Concilio, si recò in pellegrinaggio in Israele. […] Questo viaggio del papa appariva come una manifestazione di buona volontà e del desiderio mostrare simpatia e benevolenza a quel popolo che era tornato nella Terra dei Padri[33].

Il viaggio di Paolo VI in Israele fu un evento storico, la prima uscita di un Papa in aereo. Tuttavia anche in quell’occasione non mancarono incidenti diplomatici: il papa difese l’operato di Pio XII, non pronunciò mai la parola Israele e, al ritorno a Roma, scrisse al Presidente israeliano senza riconoscerlo come tale, all’indirizzo di Tel Aviv e non di Gerusalemme, indicata da Israele come Capitale.

Il 28 ottobre 1965, il Concilio Vaticano II approvò la Dichiarazione Nostra Aetate, un documento che cambiò radicalmente il rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre religioni. Per gli ebrei, in particolare, fu un passaggio fondamentale, mettendo fine all’accusa di deicidio e a ciò che ne era derivato.

Due sono sostanzialmente le linee di trasformazione del rapporto con l’ebraismo su cui si muove la dichiarazione Nostra Aetate nel suo importante paragrafo 4, che è quello dedicato agli ebrei: la prima, la più nota, e anche quella che ha suscitato la maggiore opposizione durante i lavori del Concilio, è la cancellazione della colpa collettiva del deicidio, che va nella direzione di togliere fondamento alle argomentazioni su cui era cresciuta la tradizione antigiudaica e antisemita. La seconda è una rivisitazione teologica del rapporto fra cristianesimo ed ebraismo[34].

Il contesto in cui la Dichiarazione si inserì non era dei più favorevoli: fino ad allora, ai cattolici non era permesso entrare in una sinagoga, mentre gli ebrei non erano certo ben accolti in una chiesa cattolica per assistere a qualunque liturgia o forma di preghiera; non esisteva alcun tipo di esperienza nel parlare gli uni con gli altri. Gli stessi lavori del Concilio edulcorarono alcuni aspetti, spesso per ragioni politiche o di opportunità interna: significativo, ad esempio, il fatto che la “condanna” dell’antisemitismo divenisse “deplorazione”. Ciò non deve comunque sminuire la portata rivoluzionaria del testo. La Nostra Aetate fu il primo documento della Chiesa cattolica a fare un riferimento teologico all’ebraismo. Evocava le radici ebraiche del cristianesimo e comunque prendeva le distanze dall’antisemitismo. Da quel momento è iniziata una nuova presa di coscienza da parte dei cristiani.

Il testo della Nostra Aetate apriva molte possibilità di cambiamento nella teologia cristiana dell’ebraismo, anche se non metteva del tutto fuori campo l’antica teologia della sostituzione – secondo cui la Chiesa aveva sostituito Israele nell’elezione[35].

[31] Anna Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 225-226.
[32] Elio Toaff, Perfidi Giudei Fratelli Maggiori, Mondadori, Milano, 1987, p. 215.
[33] Elio Toaff, Perfidi Giudei Fratelli Maggiori, Mondadori, Milano, 1987, p. 220.
[34] Anna Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 227.
[35] Anna Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 227.

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