Dai ghetti a una nuova libertà di movimento

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In numerosi Paesi europei, soprattutto in Italia, l’età moderna fu il periodo della chiusura degli ebrei nei ghetti[37]. Una restrizione che certamente condizionò la tendenza intrinseca verso lo spostamento, pur non arrestandolo. Fu invece l’occasione per contatti tra ebrei provenienti da diverse aree del mondo.

All’inizio del ‘500, con la discesa dei lanzichenecchi, molti profughi si riversarono nella Laguna, inclusi numerosi ebrei. Finita l’emergenza, i veneti volevano allontanare questi sfollati: il Senato però, vista l’abilità degli ebrei nel commercio, optò per un compromesso: decise di separarli dal resto della popolazione, chiudendoli in un apposito quartiere, il ghetto. Il 29 marzo 1516, circa 700 ebrei, soprattutto di origine italiana e tedesca, furono costretti a trasferirsi nell’isola del Ghetto Nuovo, un’area ristretta e malsana nella parte nord-occidentale della città. Agli ebrei levantini (provenienti dall’Impero Ottomano) e a quelli provenienti dalla penisola iberica invece fu riservata l’area del Ghetto Vecchio, aperto nel 1541. L’area del ghetto poteva essere lasciata solo durante le ore diurne e solo una ristretta gamma di mestieri era permessa, come il prestito di denaro, il commercio nel tessile e la medicina. […] Lo spazio era insufficiente per quante persone vi risiedevano; i palazzi altissimi (fino a nove piani) erano dei veri e propri grattacieli dell’epoca. Nonostante le difficili condizioni, la comunità continuò comunque a crescere. […] Nel ‘700 riemerse un sentimento antiebraico che, insieme allo spostamento di molte rotte commerciali dal Mediterraneo orientale all’Atlantico, convinse molti a lasciare la città: dai 4800 ebrei del 1655 si passò ai 1700 del 1766. Nel 1735, a fronte delle imposte crescenti e della crisi dei mestieri a cui si dedicavano gli ebrei, la comunità dichiarò la bancarotta[38].

La fine dei ghetti e il ritorno alla libera circolazione degli ebrei avvennero dalla fine del XVIII secolo. Fu un processo che si protrasse per quasi un secolo (a Roma il ghetto fu definitivamente smantellato nel 1870). Ma altre minacce incombevano e costringevano gli ebrei a emigrare: soprattutto in Russia il XIX secolo si caratterizzò per i pogrom, veri e propri massacri nei confronti degli ebrei, spesso capri espiatori per i problemi di arretratezza del Paese e per il malcontento della popolazione[39]. Ma anche in altri paesi dell’Europa orientale non tirava una buona aria. Gli Stati liberali dell’Europa occidentale come Francia e Regno Unito divennero le nuove mete, mentre si intensificarono sempre più i viaggi oltreoceano, verso gli Stati Uniti e i Paesi latino-americani.

Di lui [mio nonno] so solo che si chiamava Siegmund, come me. E che fece l’avvocato finché le nuove leggi della Romania di fine ‘800 proibirono l’esercizio della professione agli ebrei. C’erano già stati molti esodi, compresa l’epopea di fusgeyer, i “camminatori”, che in decine di migliaia attraversavano a piedi il paese in lunghe colonne fino alle frontiere con l’Austria-Ungheria, per poi continuare, sempre a piedi, verso Vienna e Praga, e poi attraverso la Germania fino a raggiungere un porto qualsiasi da cui imbarcarsi per l’America. Contingente dopo contingente, affrontavano l’impervio Prislop Pasul (passo) per superare i Carpazi, le guardie di frontiera che li inseguivano per rimandarli indietro, le scorrerie degli assai più terribili cavalieri csikòs della puszta ungherese e l’ostilità dei villaggi, allarmati per quella che veniva definita un’insopportabile “invasione” di stranieri. Gruppo dopo gruppo, partivano in genere in primavera in modo da poter arrivare a destinazione prima dell’inverno, del gelo e della stagione delle tempeste in mare. Uomini, donne, vecchi e bambini marciavano innalzando via via le bandiere delle nazioni che attraversavano, accampandosi per strada, nel fango, nei campi e nelle foreste, rispettando quando possibile il sabato e recitando il kaddish per i propri morti seppelliti lungo la via. Continuarono a partire e a camminare per migliaia di chilometri, fino allo scoppio della Grande Guerra. Curioso: non pretendevano nemmeno di fermarsi in Europa. La loro meta preferita erano gli Stati Uniti, il Canada o l’America del Sud. […] Dirigersi in Russia anziché verso l’Europa sarebbe stato passare dalla padella nella brace: lì c’erano regolarmente i pogrom. Restava l’Impero Ottomano, che riconosceva la cittadinanza agli ebrei residenti nei territori che erano stati sotto dominio turco fino a fine Settecento. In molti si trasferirono in Palestina o in Anatolia, negli insediamenti agricoli loro concessi dal sultano. Qualcuno, tra questi mio nonno, riuscì a raggiungere Costantinopoli con la famiglia e fermarsi là[40].

A Londra, dove i più si stabilirono (in massima parte nel vecchio centro dell’East End), la popolazione ebraica passò in venticinque anni da 40mila a 150mila anime. In tutto il resto del paese, le vecchie comunità si ingrandirono e se ne formarono delle nuove. […] Le condizioni erano simili nei domini d’oltremare dell’Inghilterra – Australia, Sudafrica e soprattutto Canada – dove un gran numero di ebrei trovò un focolare e diede nuovo impulso alle comunità già esistenti, fondate nei più bei giorni dell’espansione coloniale, nei primi tre quarti del XIX secolo. Gli Stati Uniti d’America seguirono l’esempio dell’Inghilterra su scala molto più vasta[41].

Gli Ebrei figurarono fra i primi coloni del Nuovo Continente. Anche più degli altri seppero apprezzare le più ampie possibilità e l’occasione di essere più liberi nella religione e nella politica, fattori che cominciarono fin da allora a formare l’America[42].

Negli ultimi vent’anni dell’Ottocento, la grande maggioranza degli ebrei viveva in Russia e in Polonia. […] Una società che si trovava immersa in un mondo spesso ostile, dove l’antisemitismo era una presenza costante. Tra il 1882 e la prima guerra mondiale, oltre due milioni di questi ebrei varcarono l’Oceano per emigrare nel continente americano. Era una scelta di rottura radicale, che implicava un taglio netto con il passato con i legami famigliari, la lingua, le usanze. […] L’America, con i suoi spazi all’Ovest ancora inabitati, con le sue ampie possibilità di lavoro, con l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, era per gli ebrei russi un mito, una sorta di terra promessa parallela e alternativa a quella vagheggiata dai primi sionisti. Negli Stati Uniti, gli ebrei si erano stabiliti da molto tempo, senza dover affrontare, come in Europa, il passaggio da uno stato di subordinazione civile al raggiungimento dei diritti. I primi ad emigrare erano stati, nel corso del Sei-Settecento, gli ebrei sefarditi, cioè di origine iberica, provenienti dall’Inghilterra o dall’Olanda. Nel corso del XIX secolo, e in particolare dopo il fallimento della rivoluzione del 1848, erano seguiti gli ebrei tedeschi, che si erano stabiliti principalmente a New York[43].

Una Chanucchià (candelabro con 8+1 bracci che si usa per celebrare la festa di Chanuccà) conservata al Jewish Heritage Museum di New York

Una Chanucchià (candelabro con 8+1 bracci che si usa per celebrare la festa di Chanuccà[44]) conservata al Jewish Heritage Museum di New York

Il passaggio dai pogrom all’attesa dell’emigrazione fu ovunque rapidissimo, e se coinvolse inizialmente solo gruppi ristretti di giovani, si estese all’inizio del 1882 alle masse ebraiche russe con la forza di un sogno messianico di redenzione[45].

Pogrom di Chisinau, 1903

Pogrom di Chisinau, 1903

[37] Si veda l’unità sull’antisemitismo, paragrafo “I ghetti”.
[38] Daniele Toscano, Venezia, un’isola (quasi) felice per gli ebrei, in Shalom. Mensile ebraico di informazione e cultura. Marzo 2016, p. 6.
[39] Si veda l’unità sull’antisemitismo, paragrafo “I pogrom nella Russia zarista”.
[40] Siegmund Ginzberg, Spie e zie, Bompiani 2015, p. 6-7.
[41] Cecil Roth, Storia del popolo ebraico, Silva Editore, Milano, 1962, p. 592-594.
[42] Solomon Grayzel, Storia degli ebrei, Fondazione per la gioventù ebraica, Roma, 1964, p. 485.
[43] Anna Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2009 p. 3-4.
[44] Si veda l’unità sul calendario, paragrafo “Ricorrenze, celebrazioni, festività”.
[45] Anna Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2009 p. 15.

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