La specificità della Shoah

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Se gli ebrei della Polonia e dei territori russi conquistati hanno subito perdite elevatissime (2.700.000 in Polonia, quasi il 90% della popolazione ebraica e 210.0000 in Unione Sovietica), […] in Austria morirono oltre 65.000 ebrei, il 35% della popolazione ebraica esistente prima del 1938. In Germania, 144.000 su una popolazione di 250.000. Altissime le perdite in Grecia, con oltre 58.000 ebrei assassinati, e in Iugoslavia (51.000). In Cecoslovacchia furono 143.000, in Romania 120.000. In Norvegia gli ebrei erano solo 1.700, e oltre 700 di loro furono sterminati. Oltre 75.000 morti in Francia, dove la popolazione ebraica era nel 1939 di 280.000 persone, la più grande dell’Europa occidentale […]. Altissima la percentuale di perdite in Olanda, dove le deportazioni cominciarono nel luglio 1942: 102.000 su una popolazione di 140.000, circa l’80%. In Belgio, morì il 42% dei 56.000 circa ebrei presenti nel paese nel 1941. In Italia, dove le deportazioni iniziarono dopo l’8 settembre 1943, […] le vittime furono intorno ai 7.000, una percentuale di circa il 16%. Anche in Ungheria le deportazioni iniziarono soltanto dopo l’invasione diretta del paese e l’istituzione di un governo collaborazionista, nel marzo 1944, ma […] i nazisti riuscirono a deportare 434.000 ebrei[63].

La storia dell’umanità si è caratterizzata per stragi e tragedie di vario genere. Il concetto di genocidio dopo la Shoah è stato applicato a molteplici casi. Ma lo sterminio del popolo ebraico mantiene delle particolarità che lo rendono diverso. Anzitutto per i suoi numeri, con i 6 milioni di ebrei uccisi. In secondo luogo, per la sua pianificazione scientifica e sistematica, avvenuta con la Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942. In terzo luogo, per l’ideologia razzista e antisemita su cui si basava: ereditava e sviluppava alcune correnti di pensiero dei decenni precedenti, esasperandole e alimentandole di vecchi pregiudizi. Inoltre, bisogna sottolineare l’ampio spettro geografico che coinvolse, con le deportazioni di ebrei da tutta Europa e non solo, dalla Francia alla Polonia, dal Nord Africa alla Svezia. Infine, era una tragedia che aveva alle spalle secoli di persecuzioni di cui appariva il culmine.

Da alcune decine d’anni, l’Occidente si è impantanato in una enfatizzazione vittimistica che fa di ogni massacro un genocidio, e che rimanda ogni catastrofe alla matrice della Shoah. Come se Auschwitz fosse divenuto il barometro della sofferenza umana. Ma se tutto è Shoah, la Shoah scompare come realtà in sé. Questa enfatizzazione della sofferenza confonde gli avvenimenti storici, rendendoli un ammasso indistinto di disgrazie e apre la via alla confluenza delle memorie. […] La Shoah segna il grado più elevato della disgrazia. E il metro di misura si forma sul modello della vittima. Il desiderio mimetico della sofferenza che valorizza agli occhi altrui innesca allora una forma di gelosia inconfessata nei confronti degli ebrei, intesi come vittime assolute di una tragedia assoluta[64].

Lo sterminio, nella seconda guerra mondiale, non fu infatti una prerogativa esclusivamente ebraica, ma la Shoah, intesa come annichilimento dell’umanità dell’individuo e della sua persona, fu un privilegio squisitamente ebraico. […] Primo Levi […] insisteva non per caso sui caratteri dello sterminio nazista che invece ne definiscono l’unicità: la deportazione di massa, la volontà di genocidio, il ripristino dell’economia schiavista, l’annullamento della dimensione umana dell’individuo e la sua depersonalizzazione[65].

Levi insiste soprattutto sul fatto che, in lager, saltavano completamente le regole morali valide fuori di esso, nel mondo civile. Chi continuasse a vivere, in lager, secondo quelle norme etiche, era condannato inevitabilmente alla morte[66].

Se i Lager fossero durati più a lungo, un nuovo aspro linguaggio sarebbe nato; e di questo si sente il bisogno per spiegare cosa è faticare l’intera giornata nel vento, sotto zero, con solo indosso camicia, mutande, giacca e brache di tela, e in corpo debolezza e fame e consapevolezza della fine che viene[67].

Una delle peculiarità della Shoah deriva anche dal fatto che essa ha acquisito una funzione rilevante nella stessa identità ebraica[68].

Può accadere che gli ebrei sentano la memoria della Shoah come una fedeltà, nel senso che il lutto non può e in fondo non deve essere elaborato e che i non ebrei considerino proprio per questo quella memoria eccessiva, irrazionale, talvolta persino fanatica, e che, lungo la strada dei sinceri sentimenti di rispetto, commiserazione e persino senso di colpa [dei non ebrei], si aprano all’improvviso inaspettati abissi sulle cui sponde gli uni e gli altri si sentono, sia pure per un momento, irreparabilmente divisi. […] La sfida più difficile e decisiva [è dunque] quella di rendere universale, e non particolare, quella memoria. Gli ebrei che durante la Shoah compivano eroici sforzi per custodirne la memoria la intendevano come storia. […] La memoria della Shoah non abbandona neppure oggi non solo i sopravvissuti e i loro discendenti ma tutti gli ebrei perché tutti sono in un certo senso dei sopravvissuti[69].

La Shoah quindi è divenuta aspetto caratterizzante dell’identità ebraica e componente ineludibile della storia degli ebrei, ma è indispensabile tenere bene a mente due elementi. Anzitutto, essa resta solo uno dei tasselli di un percorso complicato e irto di difficoltà, quali persecuzioni, discriminazioni, espulsioni, che, con motivi ricorrenti, si sono perpetuate più volte nella storia, anche se con modalità differenti. In secondo luogo, non bisogna dimenticare che l’antisemitismo non è il punto di partenza per comprendere il mondo ebraico, un universo, religioso e non, che si sviluppa in molteplici sfaccettature; la storia degli ebrei e dell’ebraismo non si risolve dunque nell’antisemitismo.

A forza di evocare gli ebrei nell’esclusivo formato delle vittime, li si rende un prototipo di vittima e si svuota l’ebraismo di ogni sostanza. Non si tratta più di una religione, di una cultura, di una storia e di un immenso corpus teologico e filosofico. Ma di una interminabile persecuzione e solo di questo[70].

[63] Anna Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 149.
[64] Georges Bensoussan, Memoria come evento culturale svuotato di significato storico, Pagine Ebraiche, n. 3 marzo 2013, p.30.
[65] Michele Battini, La Shoah dentro e fuori la storia, in Saul Meghnagi (a cura di), Memoria della Shoah. Dopo i «testimoni», Donzelli Editore, Roma, 2007, p. 4-5.
[66] Francesco Maria Feltri, Il nazionalsocialismo e lo sterminio degli ebrei. Lezioni, documenti, bibliografia, Giuntina, Firenze, 1995, p. 98.
[67] Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1958, p. 156.
[68] Anna Rossi-Doria, Il conflitto tra memoria e storia. Appunti, in Saul Meghnagi (a cura di), Memoria della Shoah. Dopo i «testimoni», Donzelli Editore, Roma, 2007.
[69] Anna Rossi-Doria, Il conflitto tra memoria e storia. Appunti, in Saul Meghnagi (a cura di), Memoria della Shoah. Dopo i «testimoni», Donzelli Editore, Roma, 2007, p. 68-69.
[70] Georges Bensoussan, Memoria come evento culturale svuotato di significato storico, Pagine Ebraiche, n. 3 marzo 2013, p.31.

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